Scavi e ricerca
La scoperta del sito archeologico risale a un ritrovamento fortuito di reperti venuti alla luce durante i lavori agricoli, segnalati dal dottor Agostino de Santis nel 1934 alla Soprintendenza Archeologica della Calabria e acquisiti poi dal Museo Civico di Cosenza. Altri rinvenimenti risalgono al 1959, durante i lavori per la realizzazione dell’acquedotto Ejano, che attraversa uno dei pianori dell’insediamento antico.
Solo a partire dai primi anni Sessanta furono avviate le prime e regolari campagne di scavo. Tra il 1963 e il 1969 la Soprintendenza Archeologica della Calabria assieme alla Società Magna Grecia, sotto la guida di Paola Zancani Montuoro, avviò gli scavi archeologici sia sul Timpone della Motta sia nell’area di Macchiabate.
Le prime ricerche furono avviate sull’acropoli, proseguite poi da Maria Wilhelmina Stoop, e nelle aree dell’abitato da Marianne Kleibrink, tali da permettere una prima comprensione dell’articolazione del sito.
Gli scavi subirono un primo arresto nel 1969, quando la scoperta dell’antica Sibari spostò l’attenzione sulle ricerche della colonia achea. Ciò comportò un minore interesse per le indagini sul Timpone della Motta e il conseguente sviluppo dell’attività di scavi clandestini, con il trafugamento di materiale archeologico, rivenduto sul mercato illecito.
Una nuova stagione di ricerche fu avviata nei primi anni Novanta da Marianne Kleibrink dell’Università di Groningen, con scavi nelle aree dell’abitato ma soprattutto sull’acropoli.
La più recente ricerca archeologica vede partecipi tre missioni archeologiche: l’Università di Basilea, l’Università della Calabria e l’Istituto di Danimarca.